"Bello però, il verbo che va insieme alla promessa: mantenere.
Man tenere, che è un tenere per mano."
(Erri De Luca)
L'etimologia costituisce un affascinante punto di partenza da cui muovere per riflettere ed esplorare la "storia" di una parola, risalendo al suo nucleo emozionale, assimilabile all'insieme di vissuti, immagini, pensieri che esso evoca.
Ecco, quindi, un altro pretesto da cui prendere spunto per condividere qualche pensiero sparso all'interno di uno spazio che -senza alcuna pretesa di sistematicità o esaustività (dimensioni a nostro avviso poco coerenti ed adeguate per un blog)- si proponga di "parlare di psicologia" e "attraverso la psicologia", utilizzando un registro accessibile e non tecnico, che tenti di semplificare, senza banalizzare.
Questo, almeno, il nostro intento.
La parola su cui vogliamo soffermarci è "mantenere".
Questo verbo, nelle sue accezioni, più o meno letterali, organizza il suo senso attorno ai temi della stabilità, della durata, dell'equilibrio.
Pensiamo ad una giovane donna che, con sforzi ed impegno, riesce a mantenersi da sola; al bimbo che impara a "lasciarsi", quindi a mantenersi in equilibrio e a camminare senza la mano del genitore; alla coppia che mantiene vivo il proprio rapporto nel tempo. E gli esempi potrebbero continuare.
L'etimologia della parola, come segnala la bella frase di Erri De Luca, rimanda al latino "manu tenére": tenere in mano, tenere per mano. Siamo confrontati con l'idea di una connessione, un contatto che protegge e sostiene al contempo.
Questa immagine appare coerente con la forma transitiva del verbo (mantenere qualcosa o qualcuno) mentre sembra meno intuitiva la relazione con la forma riflessiva "mantenersi".
Come mettere insieme l'idea di autonomia implicita nel mantenersi - nelle sue diverse accezioni- con l'immagine del "tenere per mano", emblematica di una dipendenza?
Il bambino che un giorno sente di potersi lasciare è un bimbo che si man-tiene. Tale competenza rappresenta l'esito dell'interiorizzazione dell'esperienza dell'essere stati man-tenuti, dunque, di una dipendenza "sufficientemente buona".
Non c'è antagonismo tra la dipendenza -nella sua accezione di esperienza relazionale di attaccamento- e l'autonomia, anzi, verrebbe da dire, non può esserci autonomia, in assenza di dipendenza!
Mantenersi, è potersi prendere per mano.
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