Ciascuna professionalità, al di là del fatto di essere accomunata alle altre in funzione della propria vocazione alla vendita di uno determinato prodotto, si qualifica contemporaneamente come specifica, in quanto offre quel prodotto e non un altro. Se per alcune professioni l’oggetto della propria prestazione è chiaramente ostensibile, per altre esso si qualifica come forma di sapere in grado di determinare uno stato di realtà socialmente condiviso e legittimato. Se il meccanico quindi ripara la nostra automobile, quest’ultima si mostra come l’oggetto sul quale la sua competenza esprime nel tempo la sua forza. Se il medico cura il mio mal di pancia, attraverso il farmaco “aggiusta” la mia pancia. In questi casi, ciò che preme sottolineare è la possibilità, da parte nostra, di creare una separazione tra la cosa (l’automobile, la pancia) e “noi stessi”. Come se queste parti potessero occupare un posto esterno rispetto a noi stessi, di cui un altro, diverso da noi, si potrà curare. La nostra funzione partecipante, in questo caso, si limita alla verifica del risultato che l’altro è stato in grado di conseguire. Verifica che, in questa circostanza, muoverà la sua indagine su due dimensioni: funziona-non funziona.
Proviamo adesso a spostarci su un altro genere di professioni. Pensiamo all’architettura, alla politica, alla avvocatura, alla psicologia. Questo genere di professioni, possono tranquillamente mettersi nell’ottica di funzionare come le professioni su indicate, anzi ad alcune di esse fa molto comodo funzionare in tal modo, con l’unica differenza di non poter disporre, nella loro prassi, di uno stato generale a monte inteso come risultato finale che inequivocabilmente si sposi bene con tutti quelli che gli si rivolgono. Avere mal di pancia a Roma o a Foligno, non fa alcuna differenza per il medico che intenda occuparsene. Lo stesso vale per la riparazione dell’automobile. In questi casi, la procedura competente può ripetere all’infinito il suo esercizio, anche se per poter ottenere il suo risultato necessita di mezzi di volta in volta diversi.
Pensiamo invece per fare un esempio all’avvocatura. Immaginiamo di schiacciare la sua vocazione ad esercitare la giurisprudenza entro situazioni complesse, su qualcosa del tipo: mi voglio vendicare. Quale sarebbe in questo caso lo stato di realtà da perseguire perché la vendetta trovi la sua risoluzione, il suo completamento? Pensiamo a quei casi di risarcimento danni, a quelli per l’assegnazione dei figli. Tutti casi questi ove, quando si tenta di piegare la richiesta entro un'economia emozionale del tipo “funziona- non funziona”, si rischia di perdere gli strati di quella realtà che articolano la richiesta stessa conferendogli la sua piena consistenza. Dal nostro punto di vista, come psicologi, sono proprio questi strati a formare la domanda alla quale provare a dare risposta, rispetto alla quale tentare una inseminazione, attraverso una relazione che sia, più faticosamente, fabbricatrice di una nuove forme di convivenza. Le professioni che abbiamo appena indicato, a cui abbiamo, per vocazione modellistica e di pensiero, affiancato la psicologia, costituiscono l’hardware ed il software della convivenza.
Produrre convivenza, è l’espressione di una forma di domanda che necessita di modelli professionali di analisi della domanda del cliente per poter essere presa in carico. Quando si legga professionalmente la domanda di un cliente come una domanda che chieda modelli altri per accedere alla propria realtà contestuale, siamo in presenza di una domanda di sviluppo.
Immaginare di avere una domanda sul proprio sviluppo nella vita è più faticoso ma più pericoloso, in quanto costringe l’offerta che riceviamo a doversi inevitabilmente evolvere insieme a noi. Pensarsi come qualcuno con una domanda di sviluppo, significa configurare un orizzonte in grado di ospitare una terra incognita e flettere le proprie forze per renderle delle traiettorie. Svilupparsi, in altri termini, = catapultarsi.
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