Terapista,
René Magritte,1937
Spesso accade che le persone che ci consultano ci chiedano quale sia il nostro approccio, o che magari, pur essendo a conoscenza del fatto che la nostra metodologia clinica si situi entro l’area della psicodinamica, non abbiano idea (comprensibilmente) di cosa questo significhi.
Con queste poche righe vorremmo provare ad aiutare la nostra utenza, cercando di chiarire – al di fuori di tecnicismi poco fruibili dai non addetti ai lavori- che cosa significhi implicarsi in un percorso di psicoterapia psicodinamica.
Eviteremo di soffermarci su questioni di carattere storico e bibliografico, non essendo questo l’obiettivo che qui ci riguarda; passeremo quindi ad elencare una serie di punti chiave che caratterizzano la nostra proposta di lavoro terapeutico.
1) Relazione, contesto e sofferenza.
La nostra idea è che la vita psichica produca esperienze emozionali che vanno o in direzione di un migliore adattamento e sviluppo di se stessi o in una direzione che si oppone alla crescita di sè. Lo sviluppo di se stessi non è qualcosa di fisiologico e naturale, piuttosto è un processo che va condotto e governato. La sofferenza psichica è quel segnale che si produce ogni qualvolta ci allontaniamo da forme di adattamento alla realtà più adeguate; in alternativa noi proponiamo di passare dalla sofferenza psichica alla fatica psichica, ovvero a quell’esperienza emozionale che ci allontana dall’impotenza e che ci aiuta, non senza sforzi, a governare l’insieme delle relazioni che caratterizzano i nostri contesti di vita.
2) La domanda allo psicoterapeuta
Se le relazioni con i nostri contesti sono gravate dalla nostra impotenza a far sì che le cose possano cambiare, anche la relazione con lo psicologo sarà caratterizzata e da tale vissuto e dai medesimi ostacoli. Per tale ragione prima ancora che le questioni e i problemi che ciascuno ci sottopone, sarà la relazione che si vuole instaurare ( e che viene instaurata ordinariamente fuori dalla stanza di consultazione ) con lo psicologo il primo elemento da esaminare per comprendere le ragioni della propria sofferenza. Il nostro compito come psicoterapeuti è quello di promuovere una relazione con l’altro, evitando però che questa si avviti, ancora una volta, lì dove siamo soliti raccogliere la nostra impotenza.
3) I contenuti e la storia
Certamente siamo interessati a tutte le vicende storiche che il paziente decide di raccontarci ma non abbiamo un interesse specifico a monte per talune questioni. Per tale ragione vorremmo sfatare il mito della terapia come lavoro che si rivolge al passato, a volte anche antico, come necessità utile alla cura. Il nostro obiettivo è aiutare i pazienti nel presente servendoci certo dei materiali storici che ciascuno decide progressivamente di offrire alla terapia, ma quale occasione per riflettere sulla dimensione emozionale che attraversa questa specifica storia. La dimensione emozionale costituisce il cemento con il quale ci si è costruiti il proprio mondo relazionale, con tutto ciò che esso implica, adesso, nel presente.
4) Dalla vittima all’artefice
Spesso accade che la nostra utenza non sappia da dove cominciare a raccontare la propria storia, interrogandosi su cosa sia più "giusto" raccontare. Se da un lato nel corso delle sedute ci premuriamo di aiutare i pazienti a raccontarsi, dall’altro tentiamo di spingere i pazienti a sforzarsi di trovare loro di volta in volta l’argomento da sottoporci. Quest’aspetto diviene per il nostro lavoro molto rilevante, in quanto aiuta le persone ad essere meno spettatori della propria storia; inoltre tale modalità permette ai pazienti di visualizzare quegli automatismi che caratterizzano il loro quotidiano.
Traguardare tale possibilità, diviene il primo passo per fuoriuscire dalle secche entro cui ci si è arenati: come nuovi elementi su una mappa, dopo aver riguadagnato il mare, sarà possibile tracciare, ancora una volta, nuove rotte.
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